La Storia, l'Ambiente e la Gastronomia
della Lombardia

Un po’ di storia

Splendide botti intagliate, opere d’arte che raccontano
la lunga storia del vino.

In terra lombarda la coltivazione della vite era già presente nella preistoria, ma quella della sottospecie Vitis vinifera sativa si fa risalire al VII-V secolo a.C., quando popolazioni retiche provenienti dal Nord, Altoatesini, Etruschi e Liguri – che probabilmente crearono le prime terrazze in Valtellina –, diedero impulso a questa coltura, insegnando tecniche di vinificazione relativamente più funzionali, seppure ancora rudimentali, alle popolazioni locali.

Con la dominazione romana la vitivinicoltura si sviluppò con tecniche più solide, ponendo le basi dei famosi vini retici, ricordati dagli scrittori del tempo, tra i quali Virgilio e Catullo, che a sua volta lodava i vini di Sirmione. Con la decadenza dell’Impero Romano e le successive invasioni barbariche, tra cui quella dei Longobardi dai quali la regione ha preso il nome, la vigna soffrì di un vasto abbandono, pur producendo vini apprezzati sulle mense degli invasori.

Solo con lo sviluppo dell’agricoltura monastica la vite riprese vigore nell’Alto Medio Evo, ma i vini erano ancora aspri e poco adatti alla conservazione.

Per ottenere un miglioramento di qualità, sarà necessario attendere l’incontro con la tecnica enologica francese, intorno alla fine del XVI secolo, che insegnerà ai Lombardi la produzione dei chiaretti e la conservazione dei vini.

Un ulteriore miglioramento del livello qualitativo dei vini si ebbe nel XVIII secolo, quando la vite cessò di essere maritata all’albero e passò al palo secco e alla potatura corta; inoltre, furono approfondite la ricerca e la sperimentazione in vigna e in cantina. Questi progressi furono però compromessi da tre calamità: l’oidio nel 1825, la fillossera nel 1868 e la peronospora nel 1878, che sconvolsero profondamente il vigneto lombardo e determinarono la scomparsa di molti vitigni autoctoni. L’ambiente e la diffusione della vite in questa regione mutarono radicalmente nel cosiddetto periodo post-fillosserico.

 

L’ambiente pedoclimatico

La Lombardia è una vasta e importante regione vitivinicola – la superficie supera i 23.800 kmq –, che comprende la Pianura Padano-veneta e la sezione centrale delle Alpi.

La zona montana si distingue in una parte decisamente alpina – formata soprattutto da rocce cristalline, con la presenza di ghiacciai – e in una prealpina, con una struttura in prevalenza calcarea e con ondulazioni moreniche a ridosso dei laghi. I rilievi alpini sono profondamente incisi da lunghe valli con orientamento nord-sud, mentre la Valtellina è disposta longitudinalmente, solcata dall’alto corso dell’Adda.

La Pianura Padana si può distinguere in alta e bassa, zone differenti per struttura e composizione del terreno e, soprattutto, per le condizioni idriche: il limite tra l’una e l’altra è segnato da un allineamento di sorgenti, le cosiddette risorgive o fontanili.

Le dolci colline dell’Oltrepò Pavese.

Tutte le acque correnti della Lombardia confluiscono nel Po, tranne i corsi d’acqua delle valli di Livigno e del Lei, che tributano al Reno, all’Inn e al Danubio. Allo sbocco delle valli alpine si trovano laghi morenici e intermorenici che la rendono la regione italiana più ricca di laghi, anche molto estesi come quello di Como, emissario dell’Adda, il Lago d’Iseo, emissario dell’Oglio, parte del Lago Maggiore, emissario del Ticino, parte del Lago di Lugano e il Lago di Garda, emissario del Mincio. A questi laghi molto estesi si aggiungono moltissimi laghetti di montagna, situati anche oltre i 1800 metri, quasi tutti connessi con l’azione modellatrice degli antichi ghiacciai.

In Lombardia il clima presenta caratteri di moderata continentalità, con sensibili differenze locali dovute alla varietà di morfologia, orientamento e ampiezza delle valli — oltre che per diversa esposizione al sole —, all’altitudine, alla presenza di bacini lacustri e di ghiacciai.

Negli immediati dintorni dei grandi laghi, per l’azione esercitata dalle acque che immagazzinano e cedono calore, la temperatura invernale è mite. Anche la fascia pedemontana, ben esposta al sole, ha un clima più favorevole di quello della pianura, nonostante la maggiore altitudine. Le temperature invernali sono piuttosto temperate, rare le nebbie e le giornate umide, mentre in estate le condizioni climatiche sono fresche e ventilate. Anche nei fondi delle grandi valli alpine – come la Valtellina –, la temperatura si mantiene abbastanza mite, in contrasto con quella delle vicine montagne. Ed è proprio nella bassa pianura che si riscontrano le maggiori escursioni termiche durante l’anno.

Le precipitazioni aumentano andando dalla pianura verso le Prealpi, che sono anche più piovose delle Alpi interne. In pianura cadono mediamente da 600 a 850 mm/anno, mentre in alcune zone prealpine arrivano a 1500-2000 millimetri. Il regime delle piogge si ripartisce mediamente in 80-100 giorni/anno, anche se alcuni mesi sono decisamente asciutti; una sensibile diminuzione delle precipitazioni si avverte in inverno, mentre in estate non sono rari i rovesci temporaleschi. La neve cade in tutta la regione, mentre la nebbia è tutt’altro che rara, soprattutto nella bassa pianura, a causa dell’abbondanza di acque superficiali e del ristagno dell’aria.

 

La gastronomia

La bresaola può essere gustata ‘da sola’ o con gocce
di olio extra vergine e scaglie di parmigiano reggiano.

Pianura e montagna, laghi e fiumi offrono alla gastronomia lombarda un’ampia varietà di materie prime, che permettono l’elaborazione di piatti variegati e dotati di grande struttura, soprattutto a base di carni bovine, suine e, in montagna, di selvaggina. I condimenti tradizionali non possono che essere di origine animale, il burro su tutti, anche se non mancano oli extra vergine a Denominazione di Origine Protetta, come il Garda e il Laghi Lombardi (Lario e Sebino).

In Lombardia, il tipico antipasto all’italiana si compone di numerosi salumi DOP, come il salame Brianza e di Varzi, oltre a quelli di Cremona, mantovano, di filzetta, Milano, d’la duja – conservato con strutto nel tipico contenitore dal quale prende il nome –, la luganiga di equino della Val Chiavenna e altre specialità valtellinesi come la mortadella di fegato, la slinzega – di carne bovina, ma anche di capra, cervo o cavallo – e il violino, un delizioso prosciutto di capra. Famosissima è la bresaola della Valtellina IGP, composta da parti pregiate della coscia di manzo – anche se esiste quella di cavallo, ma non IGP –, trattate con sale, pepe, aromi, vino e spezie. E le oche, nella zona di Mortara, regalano ottimi salami e prosciuttini.

Il piatto degli antipasti può essere completato dai dolci peperoni di Voghera o dal profumato melone di Viadana, dai nervetti di vitello – cartilagini del ginocchio e dello stinco lessati – con cipollotti, entrambi affettati sottilmente e conditi con olio extra vergine e aceto, oltre che dal sanguinaccio e dalla tinca in carpione.

Il classico primo piatto milanese è il risotto allo zafferano, preparato con brodo di carne e midollo di bue, mantecato con burro e grana padano. Una vera delizia gustato anche il giorno dopo, saltato in padella con un po’ di burro, quando forma in superficie una croccante crosticina. Non solo, perché sono molto apprezzati anche il risotto alla monzese – con l’aggiunta di salsiccia, alla certosina – con filetti di pesce persico e rane, piselli e funghi, alla pilota, con salamelle o pasta di salame fresco.

I pizzoccheri, una gustosa specialità
valtellinese.

Altri primi piatti sono il minestrone alla milanese, preparato con tutti i prodotti dell’orto, la zuppa alla pavese, a base di brodo, pane raffermo, formaggio e uovo, ingrediente, quest’ultimo, che la differenzia dal pancotto. E ancora i pizzoccheri valtellinesi, specie di tagliatelle a base di farina di grano saraceno condite con patate e verze, erbe aromatiche, burro e bitto o, in alternativa, casera.
Tra le paste ripiene spiccano i tortelli di zucca e gli agnolini del Mantovano, i cappelloni della Lomellina ripieni di carne, i casonsei della tradizione bresciana e bergamasca – ripieni di carne, uova, uvetta, amaretti, grana padano e pane grattugiati, serviti con burro fuso e salvia – e i marubini del Cremasco, ripieni di carne, formaggio, uova e un pizzico di noce moscata. 

In Valtellina, sempre a base di farina di grano saraceno si preparano gli sciàtt – frittelline tondeggianti con cuore di casera fuso –, e la polenta taragna, insaporita con bitto o scimùd. Polenta che, in montagna ma non solo, svolge un ruolo di primo piano nella cucina più tradizionale, condita con sughi di selvaggina e funghi oppure formaggi, come la polenta pasticciata, mentre in Valsassina è preparata con il taleggio. Nel Varesotto è tipica la polenta e bruscitti, con carne sminuzzata, mentre con quella avanzata si prepara la versione rustida, tagliata a fette e fritta nel burro.

Uno dei piatti più famosi è la cassoeula milanese, a base di verza e molte parti povere del maiale, come costine e zampetti, codino, cotenna e cotiche, alla quale si possono aggiungere i verzini, ossia salamini, mentre la variante detta bottaggio prevede la carne di pollo al posto di quella del maiale.

Sempre a base di parti povere degli animali, sono molto apprezzati la busecca o trippa alla milanese – con fagioli bianchi di Spagna –, il rognone trifolato, i saporiti mondeghili – polpettine di carne, pane, formaggio e prezzemolo – e l’ossobuco, che insieme al risotto allo zafferano compone un ottimo piatto unico. Nome particolare è quello dei messicani alla milanese, involtini di fesa di vitello farciti con salsiccia e prosciutto tritati, uova, parmigiano reggiano, latte e pane raffermo, insaporiti con un pizzico di noce moscata e aglio, infilati su stecchini e rosolati nel burro con il profumo della salvia, sfumati con Marsala e affiancati a una morbida purea di patate.

I piatti a base di carni bovine non sono da meno. Molto conosciute sono le costolette alla milanese, rigorosamente con l’osso, passate nell’uovo e nel pane grattugiato e fritte nel burro, così come il brasato al vino, il manzo alla California lardellato con fettine di pancetta e il bollito misto, accompagnato dalla mostarda di Cremona – frutta candita aromatizzata con senape – o da quella di mele campanine nel Mantovano.

Sulle tavole lombarde non mancano piatti a base di carni di agnello e di capretto, così come di pollo, coniglio, oca e, soprattutto in montagna, di camoscio, capriolo e lepre.

I numerosi laghi forniscono trote e pesci persici, carpe e lavarelli, mentre i fiumi offrono anguille, pesci gatto e storioni; da questi ultimi, nel Bresciano, si ottiene un pregiato caviale, l’oro nero di Calvisano, dove si produce il 20% della produzione mondiale di caviale da allevamento.

Alcune tra le preparazioni più interessanti sono i lavarelli al vino bianco, gli agoni alla comasca – marinati in olio extra vergine e succo di limone, poi fritti –, l’anguilla ripiena, fritta e in umido, i filetti di pesce persico impanati e fritti, la zuppa di pesce alla tremezzina, la tinca alla lariana – in umido con cipolle e patate – e la famosa tinca ripiena del Lago d’Iseo, farcita con formaggio, pane, spezie e cotta al forno. E per finire le rane fritte, in guazzetto o in frittata, piatti tipici della Bassa Milanese fino al Pavese.

Numerosi sono i formaggi a Denominazione di Origine Protetta, come bitto e casera in Valtellina, formai de mut dell’Alta Val Brembana, quartirolo lombardo, provolone Valpadana, taleggio e gorgonzola, grana padano – prodotto nella Bassa Cremonese e Mantovana –, analogo al parmigiano reggiano – prodotto in uno spicchio della provincia di Mantova – ma meno stagionato. Oltre a questi, dal grana lodigiano si ottiene la raspadüra, lamelle sottili come veli ricavate con un apposito attrezzo da una forma intera poco stagionata. E ancora il nostrano Valtrompia, a pasta dura, con latte crudo e aggiunta di zafferano, il salva cremasco, a pasta molle e crosta lavata, lo strachitunt, erborinato del Bergamasco, e la formaggella del Luinese ottenuta da latte di capra.

Il grana padano è un formaggio versatile e di grande qualità. 

Altri formaggi molto apprezzati sono il ricco e aromatico bagoss, prodotto a Bagolino nel Bresciano, il pannerone – tipico delle province di Lodi e Cremona, senza sale e con una spiccata vena amarognola –, i cremosi stracchini e crescenze, il mascarpone con cui preparare una golosa crema per accompagnare il panettone a Natale, il morbido scimudin valtellinese, da servire con fichi e miele, il patalos della Val di Mello, stagionato nel vino rosso, e l’affumicato fatulì della Val Camonica, prodotto da latte di capra.

La pera mantovana, la mela di Valtellina e il melone mantovano sono deliziosi frutti IGP, in particolare quelli di Casteltidone e di Viadana.

Anche il panorama più goloso, quello dei dolci, è molto ampio. Oltre al celeberrimo panettone e alla colomba pasquale, si possono ricordare le chiacchiere di Carnevale, le fave dei morti, con farina, mandorle e pinoli, il pane di San Siro – budino a strati di crema e nocciole –, la polenta e osei bergamasca – strati di pan di Spagna e confettura di albicocche – e il chisoeul bresciano, dolce a pasta lievitata che si cuoce anche nella cenere.
Più delicati sono la torta paradiso del Pavese e la pangialdina o pan meino, a base di farina di mais. Le offelle sono biscotti ovali di pasta frolla e i milanesi chiamano offelé il pasticcere, ma non è chiaro se sia questo a prendere il nome dai pasticcini o viceversa.
Il classico castagnaccio è un po’ più rustico, mentre più dolci e strutturati sono il torrone a stecche e la spongada di Cremona – pane condito con miele, nocciole e cedro candito –, oltre alla sbrisolona mantovana, prodotta con farina bianca e gialla, tuorli d’uovo e tante mandorle tritate.

Infine, ci si può lasciare andare in un brodo di giuggiole – da cui ha preso origine l’omonimo detto – ottenuto facendo bollire le ormai quasi introvabili giuggiole essiccate con fettine di mele cotogne e servito freddo su torte secche, come la tortionata a base di mandorle.

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