La Storia, l'Ambiente e la Gastronomia
della Sardegna

Un po’ di storia

Su Nuraxi, in sardo ‘il nuraghe’, nei pressi di Barumini,
ai piedi del Parco della Giara.

Si può tentare di datare le prime forme di viticoltura in Sardegna intorno al 2000 a.C.
Solo successivamente, la prima massiccia immigrazione fenicia contribuisce a un più razionale sviluppo della vite, seguito dall’arrivo dei coloni greci intorno al VII secolo a.C., con conseguente inizio dei commerci tra questi due popoli lungo le coste del Mediterraneo. I Cartaginesi, per proteggere i vini della madrepatria, danneggiarono i vigneti e imposero rigorose limitazioni ma poi, per esigenze proprie, ripresero a incentivare la viticoltura. Quel che è certo è che gli antichi storici, a causa del grande isolamento vissuto dall’isola, non sono riusciti a raccogliere molte informazioni sulla vite in Sardegna.

Durante la dominazione romana, gli occupanti manifestano un certo interesse per il vino locale, ma cercano di sfruttare le grandi piane locali per la produzione cerealicola, di cui Roma era sempre bisognosa. La vite continua tuttavia a essere presente e i vini sardi a essere ricercati, anche se prodotti in quantità limitata: nell’editto di Domiziano, che vietava l’installazione di nuovi vigneti, la Sardegna non era menzionata.

Dopo le devastanti invasioni barbariche, la vitivinicoltura subisce un tracollo e torna a vivere nelle limitate isole di clandestinità dei monasteri, per poi tornare allo scoperto, rilanciata dalle repubbliche marinare di Genova e di Pisa fino al XIV secolo. È con il Medio Evo e dopo il crollo dell’Impero Bizantino, alla lettura degli Statuti Sardi, tra il XIII e il XIV secolo, che si può constatare come la vitivinicoltura sia diventata parte importante dell’economia dell’isola, con l’introduzione di nuovi vitigni, la vernaccia nell’Oristanese alla fine del XIV secolo e più tardi, forse da Genova, il vermentino.

Nel XV secolo si hanno i primi apporti dalla Spagna dei vitigni dai quali discendono gli attuali cannonau, bovale, girò, monica e nasco, oltre che della tecnica per produrre quei vini liquorosi che rimangono una delle caratteristiche dell’enologia sarda. Le quotazioni dei vini prodotti in Sardegna erano seconde solo a quelli della Corsica, presenti nella lista dei vini papali di Sante Lancerio, che invece non cita vini sardi. Poche informazioni arrivano anche da Andrea Bacci, che parla di vini sardi bianchi e crudi, non reperibili sul continente.

È con la dominazione piemontese e l’unificazione che la viticoltura sarda sembra prendere nuovo vigore, raggiungere un migliore equilibrio e una maggiore produzione, soprattutto per i traffici commerciali con Marsiglia, che porta a un notevole aumento dei prezzi dei vini. Le esportazioni verso la Francia e l’Austria diventano importanti e i vini più esportati sono i bianchi, soprattutto per la crescente industria del Vermouth; acquistano fama il Nuragus, la Malvasia, la Vernaccia, il Moscato, il Girò, il Nasco, il Torbato e il Monica. La fillossera però si fa sentire pesantemente, e il vigneto – formatosi nel corso dei secoli e aggiustatosi nella seconda metà del XIX secolo –, fu di fatto ricostituito secondo la precedente caratterizzazione.

 

L’ambiente pedoclimatico

Il gruppo del Gennargentu è un’ampia area montuosa
nella zona centro-orientale della Sardegna.

La Sardegna è una grande isola, la cui estensione supera i 24.000 kmq, bagnata dal Mare Mediterraneo, dal Mar Tirreno e dal Mare di Sardegna; a nord le bocche di Bonifacio la separano dalla Corsica, con coste che, se si escludono i tratti in corrispondenza delle pianure, sono alte e molto spettacolari.

La maggior parte dei terreni è fondamentalmente granitica, ma sono presenti anche calcari, materiali sedimentari e depositi eolici nelle fasce costiere; l’attuale morfologia dell’isola è il risultato di complessi fenomeni tettonici e vulcanici. Il territorio sardo è infatti costituito da una successione irregolare di formazioni montuose, gruppi isolati e altopiani profondamente segnati dall’azione erosiva. Nella fascia occidentale prevalgono le aree montuose, mentre in quella orientale il paesaggio è più collinare. Il gruppo del Gennargentu comprende Punta La Marmora, la cima più alta dell’isola (1834 m), e un elemento caratteristico del territorio è la fossa tettonica del Campidano.

Il fiume più lungo dell’isola è il Tirso, che dopo aver percorso 150 chilometri sfocia nel golfo di Oristano, seguito dal Temo che sbocca presso Bosa, e per un piccolo tratto è l’unico fiume navigabile della Sardegna. I fiumi sardi, infatti, a causa della natura dei rilievi e del clima, hanno carattere torrentizio, con portate abbastanza copiose in inverno e scarse in estate. Altri fiumi nella parte settentrionale dell’isola sono il Coghinas e il Liscia, mentre sul versante tirrenico sfociano il Posada, il Cedrino e il Flumendosa. Lungo le coste sono presenti laghi e stagni; negli ultimi anni sono stati creati diversi bacini artificiali per sfruttare e distribuire nel tempo l’acqua dei flussi torrentizi, che permettono interventi di irrigazione nei mesi più siccitosi.

Il clima della Sardegna è di tipo insulare-mediterraneo. Le estati sono lunghe e calde, asciutte e ventilate; gli inverni sono brevi, piovosi ma non freddi, a eccezione delle zone più elevate. Le medie annue oscillano tra i 18 °C delle fasce costiere e i 14 °C di quelle interne, dove sono anche più rilevanti le escursioni termiche. La piovosità è discreta in autunno-inverno, scarsa in primavera e quasi assente in estate, ma si possono avere forti precipitazioni, venti freddi e sbalzi di temperatura abbastanza drastici tra febbraio e marzo, che possono danneggiare il risveglio vegetativo della vite. Il vento dominante è il maestrale, che investe soprattutto il settore occidentale dell’isola, mentre il garbino e lo scirocco, caldi e turbinosi, spirano sulle coste meridionali.

 

La gastronomia

Nonostante sia un’isola, la Sardegna non è una terra di pescatori, e la più autentica cucina sarda è quella dell’entroterra, legata agli usi e alle consuetudini gastronomiche delle popolazioni della pianura e della montagna. Anche se non si può disconoscere una cucina costiera, sviluppatasi negli ultimi decenni in seguito al forte impulso turistico sulle sue coste spettacolari.

L’antipasto più noto è certamente la bottarga, uova di tonno o di muggine seccate e affettate molto sottili su fette di pane tostato, usata anche come condimento per primi piatti sapidi e gustosi. E dallo stesso muggine, salato, essiccato e affumicato, si ottiene il mugheddu, servito con olio extra vergine e aceto. Numerose sono le delicate insalate a base di prodotti del mare, come quella di aragosta e di polpo bollito, mentre sono più saporiti i pesci in scapece – muggini fritti e marinati con sale, olio extra vergine e aceto –, la merca – a base di muggini bolliti in acqua salata e confezionati in erbe palustri per proteggerli dal contatto con l’aria –, le frittelle di cozze, l’anguilla affumicata, la capponata di origine ligure, preparata con un fondo di gallette inumidite con acqua, olio extra vergine e aceto, tonno, pomodoro affettato e aromi.

Tra i salumi, non molto numerosi, si possono ricordare il prosciutto crudo di maiale brado, i prosciutti di capra e di pecora di Teulada e la tradizionale salsiccia d’Irgoli, nel Nuorese, prodotta con carni fresche di suino tagliate in punta di coltello, salate, pepate, speziate e insaccate in budello, da consumare dopo una breve stagionatura. Altri salumi sono la pancetta, la mustela – filetto di maiale conciato con aceto e vino – e la salsiccia sarda, talvolta aromatizzata con finocchio o aceto, stagionata per circa un mese e da gustare cruda o cotta.

Il pane carasau è ottimo da sgranocchiare ed è un ingrediente-base di molti piatti sardi.

Il compagno ideale dei piatti saporiti della cucina sarda è il pane carasau. Tipico del Nuorese e del Sassarese, è ormai molto famoso anche al di fuori dell’isola con il nome di carta musica, un tempo cibo tradizionale dei pastori della Barbagia e tuttora utilizzato per fare il pane frattau, bagnato nel brodo, condito con salsa di pomodoro e formaggio e addizionato di un uovo in camicia.

Tra i primi piatti, i più tipici sono is malloreddus, minuscoli gnocchetti conditi con sugo di carne di cinghiale, oppure con patate, cipolle e pecorino grattugiato; in particolare, quelli alla campidanese sono i più complessi e serviti con salsiccia, cipolla, pomodori e abbondante pecorino sardo. Gustosi sono anche i maccarones – ottenuti da un impasto di semola di grano duro con acqua, arrotolati attorno a un ferro da calza, conditi con ricotta o sughi di carne –, i ciusoni galluresi – gnocchetti di semola di grano duro conditi con un sugo di pomodoro e carne –, gli angiulottus – agnolotti ripieni di formaggio o di carne – e il pillus, un piatto preparato con lasagne poste in forno a mezza cottura, a strati, con prosciutto e carne tritata.

Si possono gustare anche alcune zuppe, come la suppa quata o nascosta, tipica della Gallura – strati di pane e formaggio cotti con brodo a fuoco lento, con una crosta superiore che ne nasconde il contenuto –, la zuppa di finocchietti – con pane raffermo, pomodori secchi, pecorino e formaggio fresco –, la su farru, a base di menta e farro, la minestra di cavolo e zampetti di maiale, la cauladda, tipica del Sassarese – con cavoli, lardo, salsiccia, fave, carne lessata e aglio –, la fregula, il minestrone di ceci e zafferano, il minestrone sardo con finocchio selvatico e la padedda.

Primi piatti a base di prodotti del mare sono il risotto alla pescatora, gli spaghetti alla bottarga e alla carlofortina – conditi con sugo di tonno e pesto alla genovese –, la buridda – pezzi di gattuccio di mare lasciati marinare per due giorni in una salsa ottenuta dal fegato dello stesso pesce, aceto, olio extra vergine, noci tritate e aglio – e la cassòla, zuppa di pesce molto ricca con un tocco di pomodoro e servita in casseruole di coccio. 

L’agnello di Sardegna IGP trionfa in molte preparazioni gastronomiche regionali, come l’agnello con i finocchietti cotto in umido, la trattalia, frattaglie di agnello con pane, lardo e alloro, e la cordula, con frattaglie cotte alla griglia. E particolarmente apprezzata in alcune parti dell’isola è la pecora in cappotto, cotta in acqua con sedano, patate, pomodori secchi e cipolle. Tra gli arrosti, si possono ricordare la capra allo spiedo, il capretto al forno e il famosissimo porcheddu – arrostito in uno spiedo di corbezzolo e poi aromatizzato su fronde di mirto –, oppure carrasciu, cioè sepolto in una fossa con carboni accesi di legno odoroso e foglie di mirto.

Altri secondi piatti sono la gallina al mirto – piatto freddo ottenuto dalla bollitura della gallina, poi tenuta tre giorni a contatto con il mirto –, il pollastro ripieno e i puddighinos, piccoli polli cucinati al forno.

Apprezzati sono anche i piatti a base di carni rosse, come per esempio i coiettas – involtini di carne farciti con lardo, prezzemolo e sale –, il ghisau – stufato di manzo in umido –, la favata – stufato di fave e manzo, ma più spesso maiale – e gli is longus, intestini di bovino cotti sulla graticola o allo spiedo. Numerosi sono i piatti a base di lepre e cinghiale, ma sono famose soprattutto le pernici fredde in salsa e la tacculas, tordi bolliti lasciati a contatto tre giorni con fronde di mirto.

L’aragosta alla brace è uno dei piatti più aristocratici
della cucina isolana.

L’aragosta all’algherese e alla catalana – lessata e servita con pomodori e cipolle, olio extra vergine, prezzemolo e succo di limone –, i calamari e i cefali ripieni con un trito di aglio, alici, pane grattugiato, olio extra vergine, sale e pepe, sono i piatti di mare più apprezzati.

I contorni sono numerosi e molto vari, come i carciofi con patate, le frittelle di finocchio, le melanzane in teglia con salsa di pomodoro, i fagioli alla gallurese con lardo, finocchietti selvatici e pomodoro, e la torta di fave, una frittata molto saporita di fave verdi sbucciate, uova e pane grattugiato.

La grande produzione di latte di pecora permette di ottenere un’ampia gamma di latticini freschi come la ricotta, i ricottoli e la ricotta forte, o di formaggi più stagionati come i DOP fiore sardo e pecorino sardo, con toni decisamente più piccanti, oltre alla maggiore produzione di pecorino romano. E ancora caprini e canestrati, peretta e merca, dal gusto dolce e delicato il primo giorno, che diventa poi leggermente acidulo.

Formaggio e miele creano intriganti intrecci
di sapori in tanti dolcetti sardi.

Si arriva così ai dolcetti finali, spesso arricchiti con miele e formaggio, come le famose seadas, ravioli ripieni di formaggio fresco inacidito, fritti e serviti cosparsi di miele millefiori. La torta di ricotta è arricchita con mandorle, noci e uva passa, gli zippulas sono preparati con farina, zucchero, uova, lievito di birra, ricotta, patate e scorza d’arancia.

E poi i pistollos, i papassinos, le cascheddas, le casadinas, i mustazzolus e il torrone, prodotti artigianalmente in tutta la Sardegna. Gli amaretti oristanesi sono fatti con mandorle dolci e amare tritate, zucchero e albume d’uovo montato, così come i suspirus, mandorle macinate e cotte con zucchero, lavorate in forma di palline e cotte nel forno. L’aranzada è un torrone con miele, mandorle tritate e scorze d’arancia, mentre la tumbada è preparata con latte, uova, zucchero, burro, limone, vaniglia e amaretti. Quanto miele nei dolci sardi! E, su tutti, il famoso miele di corbezzolo di Ales, da gustare da solo o su una semplice fettina di pane.

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