Un po’ di storia
I vigneti di Chambave offrono i grappoli di moscato bianco
per la produzione del dolce Muscat Flétri.
I Salassi, preistorica tribù di origine ligure-gallica, furono i primi abitatori di questa terra che praticarono la viticoltura con un certo successo, favoriti anche dalle condizioni climatiche di allora, migliori delle attuali. Questi fieri abitanti opposero notevole resistenza alla dominazione romana, ma nel 25 a.C. il Console romano Aulo Terenzio Varrone Murena, dopo averne spezzato la resistenza, ne portò 36.000 al mercato di Ivrea per venderli come schiavi. E i legionari romani prosciugarono le cantine degli sconfitti fino all’ultima stilla di vino, sicuramente meritevole del palato esperto dei soldati.
I primi documenti che parlano di viti e di vigne risalgono al 515, in riferimento al legato che Sigismondo fece all’Abbazia di San Maurizio nel Vallese.
Successivamente, la tradizione vinicola fu mantenuta nei monasteri, anche sotto il dominio dei Goti, dei Longobardi e dei Franchi, oltre che sotto quello dei Savoia a partire dal IX secolo. Il Vescovo di Ivrea, Federico Front, nel 1272 obbligò i cittadini a coltivare a vigneto i terreni adatti, e i progressi della vitivinicoltura sono attestati da Leandro Alberti nel 1550, nella sua opera Descrittione di tutta Italia, dove elogia, tra gli altri vini, un soave moscatello locale.
Nei secoli successivi si affermarono i vini di Chambave, Nus, Donnas, Arvier e Morgex, ma l’arrivo della fillossera, all’inizio della seconda metà del XIX secolo, sconvolse tutto quanto era stato creato con pazienza, e se anche la distruzione non fu totale, si pagò il prezzo della perdita di qualche varietà, come l’antico muscatel de Saint-Denis.
L’ambiente pedoclimatico
La Valle d’Aosta è una piccola regione di montagna (3264 kmq), una tipica valle glaciale – cioè plasmata dai ghiacciai quaternari che hanno occupato antiche valli fluviali – nella quale si possono distinguere tre zone di corrugamento: quella esterna è costituita da rocce cristalline e comprende il Monte Bianco, la vetta più alta d’Italia (4810 m), quella interna è sempre formata da rocce cristalline e corrisponde ai rilievi del Gran Combin, del Monte Rosa e del Gran Paradiso, e infine la terza, che colma la sinclinale tra le due zone cristalline.
Il Monte Bianco domina alcuni tra i vigneti più alti d’Europa.
La valle più fertile è quella Centrale, solcata dalla Dora Baltea, che nel tratto mediano si allarga su terreni aperti e soleggiati di origine quaternaria e di natura sabbioso-argillosa. E proprio la composizione variegata dei terreni permette una certa diversificazione nella coltivazione di numerosi vitigni.
L’unico fiume importante della Valle d’Aosta è la Dora Baltea, che nasce dal Monte Bianco, percorre la regione da nord-ovest verso sud-est e raccoglie le acque di numerosi torrenti provenienti da altrettante vallate laterali. 180 ghiacciai alpini si estendono su quasi 300 kmq, con 140 piccoli laghi, quasi tutti di origine glaciale, sparsi fino a 2800 metri.
Il clima è tipicamente continentale ma variabile secondo l’altitudine, che presenta dislivelli di oltre 4000 metri tra le zone della Bassa Valle e le cime dell’Alta Valle. Il freddo è intenso nel lungo periodo invernale, ma nella breve estate le temperature sono elevate. Scendendo verso la Valle, alla sinistra della Dora Baltea il clima mediamente più temperato, la diversa esposizione al sole e i particolari microclimi, determinati dalle montagne che deviano i venti gelidi e provocano scarsa piovosità, permettono la coltivazione della vite. Le precipitazioni sono infatti tra le più scarse d’Europa, soprattutto nella conca di Aosta, con minimi di 600 mm/anno, ma aumentano nella parte inferiore della Valle, verso la pianura, mentre la neve cade abbondante al di sopra dei 2000 metri.
La gastronomia
Incastonata tra Piemonte, Francia e Svizzera, la Valle d’Aosta propone una gastronomia che profuma di montagna, decisamente influenzata dalle tradizioni franco-provenzali e tedesche nella Valle del Lys e segnata da un doppio filo conduttore: il burro e le zuppe a base di pane, brodo, verdure e polenta.
In estate, nei freschi pascoli, la pezzata rossa e la pezzata nera si nutrono di erba e di erbe aromatiche, e offrono il latte per la produzione della fontina DOP – il cui nome compare per la prima volta in un documento del 1717 –, stagionata a oltre 1000 metri per almeno tre mesi, durante i quali si arricchisce della sua inconfondibile aromaticità. Zuppa alla valpellinese e gnocchi alla fontina, crêpe alla valdostana – ripiene di fontina e cotte al forno con burro e besciamella – e la squisita fonduta valdostana, preparata con latte, burro, fontina, tuorli d’uovo e fettine di pane tostato, sono solo alcuni dei piatti nei quali questo formaggio recita un ruolo da protagonista. Le tome di Gressoney e il fromadzo DOP – prodotto in alpeggio e dotato di una tipica sfumatura erbacea – non sono da meno ed entrano in cucina con ottimi risultati, come nella soupe grasse con la toma, nella minestra di riso, latte e castagne e nella soupe paysanne, a base di pane di segale, cipolla, burro e toma.
Da sempre, in Valle d’Aosta, si produce pane scuro a base di farina di grano e di segale, preparato una volta l’anno e conservato secco; delizioso con la carne salata con erbe aromatiche, è anche un ingrediente di varie zuppe a base di brodo e di latte.
Trote, salmerini alpini e temoli, pescati nella Dora Baltea e in numerosi torrenti e laghetti, trovano spazio in alcuni piatti sfiziosi come i filetti di trota all’uva.
La regina della tavola valdostana è tuttavia la carne di manzo. Le due preparazioni principali sono la carbonade – piccolissime fettine di carne cotte a lungo nel vino rosso o bianco con cipolla, pancetta, cannella e noce moscata – e la cotoletta alla valdostana – impanata e fritta nel burro e ricoperta con prosciutto cotto e fontina –, anche se non mancano succulenti salmì di capriolo e cervo serviti con una polenta fumante.
La coppa dell’amicizia.
Entrambi DOP, lard d’Arnad e jambon de Bosses – quest’ultimo prodotto a 1600 metri e delicatamente aromatico – sono i salumi più famosi, accompagnati in gustosi taglieri dalla mocetta – ottenuta da cosce di camoscio e di capra in salamoia con erbe aromatiche –, dai boudin – prodotti con patate bollite, cubetti di lardo, barbabietole rosse, spezie, vino e sangue bovino o suino – e dal tradizionale teuteun, mammella bovina salmistrata che si abbina con varie salse e confetture.
Mele renette e frutti di bosco chiudono il pasto con grande leggerezza, ma sono anche gli ingredienti di dolcetti deliziosi, anche se i più tipici sono le tegole di Aosta – sottili dischi a base di mandorle –, i torcetti di Saint-Vincent, i baci di Courmayeur – simili ai cuneesi al Rum –, il brochart – a base di riso, latte e pane di segale –, il blanc-manger – a base di latte e vaniglia – e il fiandolein, uno zabaione di tuorli d’uovo, latte, Rum e scorza di limone.
E a fine pasto si può sorseggiare un sorso di Génépy, un liquore dolce a base di fiori di Artemisia glacialis, oppure di caffè alla valdostana nella tipica coppa dell’amicizia.