Un po’ di storia
Gli studi storici più recenti fanno risalire all’Età del ferro le prime colture viticole e la produzione di vino in questa regione.
Successivamente furono gli Etruschi a introdurre la coltivazione razionale della vite verso il VII-VI secolo a.C., insegnando ai locali a maritare la vite all’albero. E più tardi Ovidio – nativo di Sulmona –, per descrivere le sue pene d’amore, rievocherà il vincolo che lega l’olmo alla vite nelle sue Metamorfosi.
Viticoltura ed enologia avevano preso piede già in epoca augustea, come si desume dalle lodi di narratori greci e scrittori latini, ma fu soprattutto Ovidio che ricordò amorevolmente i vini della sua terra, descrivendola come ‘terra ricca del dono di Cerere e ancor più feconda di uve’. Anche Plinio il Vecchio cita più volte il vino Pretunian, considerato dai Romani come una specie di grand cru, che si otteneva dalle uve apianae e che si prestava a essere miscelato con il miele, dando un perfetto vino mulsum. Da alcuni scritti dello spagnolo Marco Valerio Marziale si ha la conferma che i vini abruzzesi si esportavano a Roma ed erano serviti sulle mense patrizie, mentre dal famoso medico greco Discoride si sa che erano commercializzati attraverso il Mare Adriatico.
L’editto di Domiziano – che imponeva che almeno il 50% dei vigneti dovesse essere distrutto per superare la crisi di sovrapproduzione di vino in Italia – e le successive invasioni barbariche misero a dura prova la vitivinicoltura abruzzese, che subì un vero e proprio tracollo.
La nascita e la diffusione del monachesimo portarono la viticoltura a nuova fioritura, ma non si sa nulla di quello che accadde fino al Rinascimento.
Nel XVI secolo, il domenicano Serafino Razzi, Priore di un convento di Penne e poi di uno di Vasto, nei suoi scritti parla del vino e delle vigne del territorio abruzzese. Un’autorevole conferma dell’importanza delle vigne abruzzesi nel periodo rinascimentale viene da Andrea Bacci, secondo il quale l’Aquilano sorprendeva per la sua notevole produzione di vino.
Nel 1793 il napoletano Michele Torcia, durante un viaggio in terra peligna, evidenziò come il vigneto fosse costituito da lacrima e zibibbo, moscatello e moscatellone, montepulciano e altri vitigni, e che i vini prodotti fossero ottimi.
Alla fine del XIX secolo il patrimonio ampelografico abruzzese era molto ricco: le fonti dell’epoca parlano di una vasta gamma di vitigni coltivati, con esportazioni di uve montepulciano verso la Romagna e la Lombardia, utilizzate per migliorare i vini locali.
Anche in Abruzzo, all’inizio del XX secolo, arriva il flagello della fillossera, che causa la riduzione del numero dei vitigni impiegati a vantaggio del trebbiano e del montepulciano, puntando a una produzione di minore qualità e di maggiore quantità.
L’ambiente pedoclimatico
Il Gran Sasso.
L’Abruzzo occupa un territorio di quasi 11.000 kmq, prevalentemente montuoso e collinare, compreso tra l’Appennino centrale e la costa adriatica, nel tratto limitato dalle foci del Tronto a nord e del Trigno a sud, che segnano rispettivamente i confini con le Marche e il Molise.
La parte occidentale della regione è montuosa, costituita da rocce calcaree con evidenti fenomeni carsici, e supera lo spartiacque appenninico formato dai Monti della Laga, dal Gran Sasso e dal Massiccio della Maiella; include i bacini del Liri e del Salto, tributari del Mar Tirreno, il versante orientale dei Monti Simbruini e della Meta, e gli ampi bacini interni del Fucino, di Sulmona e del Piano delle Cinquemiglia, separati tra loro dalle catene del Velino (2487 m), del Sirente e della Montagna.
La parte orientale è formata da un’ampia fascia collinare sub-appenninica, costituita da terreni argillosi, arenacei e sabbie.
Nella zona settentrionale prevalgono arenarie quarzo-micacee grigiastre, parte integrante del grandioso sviluppo collinare che dalle montagne scende dolcemente fino alla costa. Non mancano formazioni gessose, sasselle – vulcanetti di fango –, pozzolane e rocce parzialmente costituite da ceneri vulcaniche. Nella vasta regione montuosa dell’Aquilano si aprono ampi bacini vallivi un tempo sommersi da acque marine e in seguito lacustri, oggi bonificati – come quello del Fucino –, costituiti essenzialmente da calcari e arenarie con residui organici. Le colline presentano terreni argilloso-calcarei e arenarie, tendenzialmente compatte e di medio impasto.
I rilievi montuosi condizionano lo sviluppo dei fiumi, che percorrono gole interamente scavate tra le colline argillose e sfociano nel Mare Adriatico. L’Alento, l’Osento e il Sinello possono essere definiti torrenti subappenninici, mentre il Tronto, il Vomano, l’Aterno-Pescara e il Sangro possono essere considerati veri e propri fiumi appenninici.
Il Lago di Scanno è pittoresco ma piccolissimo, mentre l’invaso artificiale di Campotosto si estende per 14 kmq.
Il clima della regione è condizionato dall’altitudine e dalla disposizione dei rilievi. Piuttosto mite sul versante appenninico rivolto verso il Mare Adriatico – la temperatura media annuale è di 12-16 °C –, su quello occidentale e nei bacini interni presenta caratteri continentali, con temperature che difficilmente raggiungono la media dei 12 °C. Se si escludono alcune zone siccitose del basso Abruzzo, la regione presenta una buona piovosità, con un clima mite, luminoso e una buona ventilazione. Le precipitazioni sono scarse sulle coste, aumentano sui rilievi e diminuiscono di nuovo nelle conche interne riparate dai venti.
La gastronomia
Caratteristica fondamentale della gastronomia abruzzese è la capacità di esaltare le materie prime della regione, ed è divisa tra la saporita cucina della costa, giocata sulla freschezza del pescato migliore, e quella dell’interno, basata soprattutto su carni ovine, formaggi e ortaggi. Oltre che sull’olio extra vergine, come gli ottimi Aprutino Pescarese, Colline Teatine e Pretuziano delle Colline Teramane, tutti e tre DOP. E un tocco dorato e profumato è regalato a tanti piatti dallo splendido zafferano dell’Altopiano di Navelli.
La notevole varietà degli antipasti propone innanzitutto il crudo di calamaretti all’olio, con cipolla e peperoncino, i calamaretti alla francavillese – ripieni di scampetti, pane grattugiato, olio extra vergine e prezzemolo – e lo scapece di Vasto, formato da tranci di razza e palombo fritti e lasciati marinare per un giorno in aceto, aromatizzati con i pistilli di prezioso zafferano.
Salumi e formaggi della tradizione,
dalla ventricina al pecorino di Farindola.
Numerosi sono anche i salumi, tra cui la mortadella di Campotosto – molto saporita e gustosa perché ottenuta dalle carni di maiali cresciuti allo stato brado, chiamata localmente coglioni di mulo –, la ventricina di Guilmi – insaccato di carne di maiale magra e grassa, tagliata al coltello, condita con sale, pepe, anice e abbondante peperoncino –, la ventricina teramana – a base di carne di maiale tritata finemente e speziata, da spalmare su pane o bruschette – e la salsiccia di fegato dolce – specialità aquilana –, un insaccato di fegato e coratella con miele e mosto cotto. E poi due specialità di Ortona prodotte in tutta la regione, l’annoia – preparata con la trippa e la parte finale del budello – e il fegatazzo, a base di fegato, polmone, milza, ventresca e guanciale, macinati e conditi con sale, peperoncino, bucce di arancia e aglio.
Tra i primi piatti sono molto richiesti le fregnacce, pasta fatta in casa tagliata in pezzi grossi, condita con sugo di carne e abbondante pecorino, e le scrippelle ‘mbusse, una sorta di crêpe arrotolate con formaggio grattugiato e servite in brodo di gallina. Un piatto particolarmente ricco e tipico dei giorni di festa è il timballo alla teramana, composto da crêpe condite con mozzarella, polpettine piccolissime di carne fritte e sugo di carne, tutto passato al forno.
I maccheroni alla chitarra, vera specialità della cucina abruzzese.
Un discorso a parte meritano i maccheroni alla chitarra, tipici spaghetti all’uovo, a sezione quadrata, che prendono il nome dall’utensile che viene usato per tagliare la pasta – in dialetto lu carrature –, formato da un telaio con fili metallici e simile a una chitarra. Il condimento più classico per questa pasta è un sugo di carni di agnello, vitello e maiale, ma la fantasia porta a condirla anche con i funghi di bosco o con i piselli, con sughi in bianco di pesce o di carne.
Per la Festa del 1° maggio, in provincia di Teramo non si rinuncia alle virtù – minestra di verdure fresche, legumi secchi e freschi, con diversi formati di pasta secca –, mentre una specialità vegetariana molto amata è lu ciabbott o tjella, a base di patate, peperoni, pomodori, zucchine e cipolle.
Il brodetto alla pescarese – con scorfano, razza, polpo, gattuccio, scampi, cozze, peperoncino e peperone dolce secco – e quello alla vastese con aggiunta di pomodoro sono piatti irrinunciabili, seguiti da guazzetto con sogliole, calamaretti e merluzzetti insaporiti con aglio, peperoncino, prezzemolo e succo di limone, coda di rospo al rosmarino condita con aglio, peperoncino e olio extra vergine, sogliola alle olive, triglie ripiene e baccalà in guazzetto con pomodoro, cipolla, peperone e olive nere.
Agnello e pecora recitano un ruolo di primo piano sulle tavole abruzzesi, con l’agnello cacio e ovo e la pecora alla callara – piatto antico della tradizione aquilana – lasciata cuocere per diverse ore con spezie ed erbe aromatiche locali. E poi ancora gli arrosticini – spiedini di cubetti di carne di castrato cotti sulla brace –, le mazzarelle teramane – piccoli involtini di interiora di agnello arrotolati in foglie di indivia, legati con le budelline e rosolate in olio extra vergine – e i torcinelli, variante chietina di questo stesso piatto.
Non mancano altre carni bianche, come il coniglio alla chietina – preparato al forno con farcitura di fette di prosciutto, burro e rosmarino –, il pollo alla franceschiello – tagliato a pezzi e cotto con sottaceti, olio extra vergine, olive ed erbe aromatiche – e il tacchino alla canzanese, da servire freddo con la sua gelatina.
Molto pregiati sono i formaggi, ottenuti da latte bovino e ovino, come le famose scamorze di Ovindoli e Rivisondoli, le caciotte e i pecorini stagionati, il caciofiore aquilano fatto con caglio vegetale, il pecorino di Farindola che utilizza il caglio suino, il cacio marcetto – formaggio forte da spalmare sul pane –, il canestrato di Castel del Monte, il pecorino di Atri, la giuncatella, la ricotta, le caciotte e i caciocavalli dell’Alta Valle Peligna.
A chiusura del pasto, i dolci. Alcuni esempi sono la cassata sulmonese – pan di Spagna farcito con crema al torrone croccante –, la cicerchiata – minuscole palline di pasta dolce leggera, fritta e legata con miele, con tanti confettini colorati –, i cagionetti al mosto cotto – dolci fritti legati al periodo natalizio, a forma di ravioli con ripieni vari, dai ceci alla marmellata di uva montepulciano o scrucchiata – e la pizza doce, con strati di pan di Spagna bagnato con Centerbe, caffè e Alchermes, farciti con crema alla vaniglia e al cioccolato.
Le sise delle monache di Guardiagrele, morbide e cremose.
E poi i mostaccioli – a base di farina, mandorle, miele e mosto cotto –, le ferratelle o neole – cialde di farina, uova e zucchero –, i bocconotti di Castel Frentano – crostatine di pasta frolla farcite con mandorle tritate, cioccolato e mosto cotto –, le sfogliatelle di Lama, ripiene di marmellata d’uva e mosto cotto, le sise delle monache di Guardiagrele, morbide paste di pan di Spagna con la crema, e gli uccelletti o lì cellit, piccoli dolci a forma di uccellino, ripieni di marmellata.
Un discorso a parte meritano il parrozzo – dolce pescarese a marchio registrato, a forma semisferica e glassato al cioccolato, fatto con farina, uova, zucchero, burro e mandorle –, i numerosi torroni e i confetti di Sulmona. Perché gustarli solo in occasione di matrimoni, battesimi e altre ricorrenze?
A fine pranzo, non si dimentichi che l’Abruzzo è la patria di alcuni amari, liquori e infusi di importanza nazionale, il più famoso dei quali è il celebre digestivo Centerbe.