Un po’ di storia
Nel Collio si producono alcuni tra i migliori vini bianchi
dell’intero panorama enologico italiano.
L’opinione degli studiosi è che la vite sia giunta in terra friulana con l’arrivo degli Eneti, tra il XIII e il XII secolo a.C., ma poco si sa sul periodo preromano, al di là dei reperti archeologici funerari raffiguranti libagioni sacre e augurali, anche se la viticoltura fu condotta con criteri tecnici sicuramente accettabili per quei tempi. E Plinio il Vecchio attesta l’esistenza nella zona di vini gradevoli, tra i quali il Pucinum, considerato ricco di virtù terapeutiche, tanto che l’Augusta Giulia (Livia Drusilla, 57 a.C.-29 d.C.) attribuiva la sua veneranda età a tale vino, l’unico bevuto e prodotto ‘…nel golfo del mar Adriatico, non lungi dal sassoso colle della sorgente del Timavo, dove la brezza marina ne matura poche anfore.’
Nel II secolo d.C. i Romani fondarono Aquileia, dove furono portati 15.000 coloni che impiantarono vigneti a coltura intensiva, come testimoniano le centinaia di anfore ritrovate in situ dagli archeologi. Di qualche secolo dopo è la notizia che Cassiodoro, primo ministro dell’Imperatore Teodorico, parla dell’Istria lussureggiante di vigneti, e nel 534 Teodato e Amalasunta elogiano le grandi produzioni vitivinicole di Aquileia e Cividale.
Anche nel Medio Evo la viticoltura della regione è fiorente e l’esportazione dei vini è diretta principalmente verso la Repubblica Veneziana, che già conosceva la Raibola (ribolla) dell’Istria e del Collio, il Pinello, il Turbiano, la Malvasia, la Vernascia e il Moscatello. Ma nel 1307 Gorizia fu costretta a imporre un dazio sui vini forestieri, per assicurare il consumo dei prodotti del territorio.
Durante il Rinascimento la fama dei vini del Friuli si mantiene vivissima e compaiono altri vitigni nuovi, come il terrano, il romania e il pignolo, che si diffondono nella regione.
Intorno al XVIII secolo appare il picolit, coltivato in minima scala in Friuli, ma che si era diffuso – grazie all’inimitabile vino che produceva –, nelle province venete e da lì perfino in Toscana e in Emilia a Scandiano. Nel 1765 nasce la Società Agraria Teresiana, dal nome dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, la prima di numerose istituzioni che porteranno le vigne e i vini friulani a grande splendore. Nel 1787 si mise mano a un catasto dei vigneti, classificando le zone per meriti qualitativi, ma purtroppo non fu portato a compimento: un vero peccato, perché l’iniziativa avrebbe potuto porre l’Italia all’avanguardia in Europa, considerando che la prima classificazione dei cru bordolesi è datata 1855.
Purtroppo, nemmeno un secolo dopo l’opera dell’Imperatrice compare l’oidio, cui fanno seguito nel 1881 la peronospora e nel 1888 la fillossera, che continuerà la sua azione devastatrice fino a tutto il 1927.
Quattro anni più tardi, nel 1931, in collaborazione con la Stazione di viticoltura di Conegliano, si pongono finalmente le basi per la rinascita dei vigneti friulani.
L’ambiente pedoclimatico
In primavera, il vigneto friulano è colorato da alberi fioriti.
Il Friuli-Venezia Giulia occupa una superficie di oltre 7800 kmq e rappresenta una specie di ponte verso l’Austria e la Slovenia.
Le montagne friulane sono costituite soprattutto dal versante meridionale delle Alpi Carniche, con la cima più alta del Monte Coglians, e dal settore occidentale delle Alpi Giulie, con la cima più alta del Monte Jof di Montasio che, di antichissima formazione, presentano creste calcaree addolcite e rimodellate dall’azione dei ghiacciai e degli agenti atmosferici, secondo un fenomeno definito carsismo. Nell’arco prealpino carnico-giuliano, una serie di rilievi è frazionato in numerose e profonde valli interessate alla viticoltura.
La pianura friulana orientale rappresenta la continuità, per aspetto e caratteristiche strutturali, della pianura padano-veneta, con terreni di tipo alluvionale molto permeabili, mentre a settentrione sono presenti quelli che derivano dallo sfaldamento di massicci rocciosi, costituiti essenzialmente da sabbie e ciottoli e conosciuti come magredi e grave.
I terreni collinari sono rappresentati da conglomerati sabbiosi, arenarie, argille, marne, calcari, gessi e depositi di origine marina.
I fiumi principali sono il Tagliamento e l’Isonzo – che interessa la regione solo nella sua parte inferiore e sfocia nel Golfo di Trieste –, mentre sviluppo molto più breve hanno i fiumi che nascono dal versante meridionale delle Prealpi, come il Cellina, il Meduna, l’Arzino, il Torre, il Natisone e lo Judrio. I fiumi carsici, alimentati da acque sotterranee, sono il Timavo e il Livenza. Nelle pianure, grazie alle falde acquifere di scorrimento, i terreni sono freschi e umidi, e nei punti di impatto con falde alluvionali si hanno fenomeni di risorgive o fontanili.
I laghi, tutti di piccole dimensioni, sono il Cornino, il Lago di Cavazzo o dei Tre Comuni, il Raibl, il Fusine e il laghetto carsico di Doberdò.
A Capriva, d’inverno, le vigne spesso riposano sotto la neve.
Il clima presenta caratteri molto diversi tra la fascia costiera – dove è più mite per l’influsso del Mare Adriatico –, e quella dei rilievi montuosi, dove diventa alpino.
Caratteristica particolare della regione è il regime dei venti. La pianura e le valli sono periodicamente esposte alla bora, vento freddo e violento proveniente dal Carso, in pianura prevale il greco, che risparmia solo Gorizia, mentre nella zona sud-orientale è più frequente il levante.
Le piogge sono abbondanti a causa della condensazione di venti umidi che incontrano la barriera delle Alpi, con valori massimi, soprattutto in autunno e primavera, sulle Prealpi, con oltre 3000 mm/anno. Le precipitazioni nevose sono copiose, specialmente sulle Alpi Giulie, e la grandine non è rara, soprattutto nelle zone pedemontane e collinari; le nebbie sono frequenti in pianura, in autunno e all’inizio della primavera.
La gastronomia
La cucina di questa regione è composta principalmente da due anime, quella a sfondo agricolo e montano delle valli e delle Alpi della Carnia e quella lagunare dell’Adriatico. Non solo, perché risente dell’impronta delle cucine veneta, asburgica e slava, oltre che di un lontano retaggio orientaleggiante. E, su tutto, uno spruzzo di Grappa, la cui produzione affonda radici profonde in Friuli-Venezia Giulia.
Di sicuro effetto, anche se non numerosi, sono gli antipasti.
Inconfondibile è il prosciutto di San Daniele DOP, dolce e morbido, servito in fettine sottilissime tagliate a mano, con fichi o melone, così come quello di Sauris, affumicato con legni di abete, ginepro e piante selvatiche, anche servito a cubetti con semi di cumino. Molto gradevoli e saporiti sono il salame d’oca, di cinghiale e di asina, il salame alla friulana fritto in padella a fette con una spruzzata di aceto e servito caldo, le salviade, foglie di salvia passate nell’uovo e fritte, oltre ai fiori fritti di acacia, sambuco e zucca.
Le erbe aromatiche profumano
i ripieni di diverse varianti di cjalsons.
Tra gli antipasti di mare spiccano la granseola alla triestina, mentre i fiumi danno trote da servire affumicate con piante aromatiche, servite su crostini con burro e limone oppure con olio extra vergine e fettine di cipolla cruda.
La regione è il regno dei brodetti di mare, come quelli di Trieste e di Marano Lagunare, con molti tipi di pesce passati al setaccio per ottenere una zuppa cremosa da servire con crostini di pane e una spolveratina di pepe.
Primi piatti a base soprattutto dei prodotti dell’orto sono la minestra carsolina a base di uova e farina, la jota – minestrone di fagioli, patate, crauti, olio extra vergine, erbe aromatiche, talvolta con salsiccia o cotechino –, il minestrone alla triestina, la minestra di orzo e fagioli e quella di riso e patate, il paparot del Pordenonese – con spinaci, farina di mais, farina, burro e aglio – e la sope di cjavàl, con pane abbrustolito sul quale è versato un cucchiaio di burro cotto, zucchero e del buon vino rosso.
Particolarmente ricchi, tra i primi piatti, sono gli agnolotti della Carnia – ripieni di ricotta, spinaci lessati, cedro candito, uvetta e pane grattugiato – e i cjalsons di Timau, altra pasta ripiena di patate, spezie, uvetta ed erbe aromatiche, conditi con ricotta affumicata o altro formaggio grattugiato e burro fuso. Altrettanto fantasiosi sono i cjalsons di Arta, ripieni di patate, mele, pere e numerose erbe aromatiche, tra le quali la melissa e la menta, con sapori stuzzicanti regalati anche da ricotta affumicata, cioccolato fondente, marmellata di prugne e cannella. Sensazioni dolci permeano anche le lasagne ai semi di papavero, con burro fuso, semi di papavero e zucchero, e gli gnocchi di susine – con una prugna secca all’interno –, bolliti e poi passati in padella con burro fuso, zucchero e cannella.
E poi i risotti, come quelli alle ortiche, ai peoci – con cozze, pomodoro, aglio e cipolla - o con i più svariati frutti di mare, quelli di Marano, con scampi, calamari e telline, oppure con le rane, rigorosamente in bianco.
Il gulasch, un piatto di chiara ispirazione mitteleuropea.
Numerose sono anche le specialità a base di carne di vitello e di manzo, spesso profumate con spezie ed erbe aromatiche. Alcuni esempi? L’arrosto di manzo con cumino, rafano e chiodi di garofano pestati, la testina alla carniola – bollita, affettata a striscioline e servita con salsa – e il gulasch di manzo, stufato e aromatizzato con paprica e altre spezie. La saporita carne di maiale sale alla ribalta nel musèt – cotechino ottenuto anche da alcune parti della testa del maiale, profumato con la cannella – e servito con la brovada – rape inacidite nelle vinacce e tagliate in striscioline –, il maiale in salsa di lamponi e il toc di purcit, stufato di carne magra e fegato, con cannella, chiodi di garofano e vino bianco. Altrettanto gustose sono le luganeghe del Carso e le marcundele, salsicce avvolte nella rete. Ottimi sono anche i cevapcici, polpettine di carne di maiale e manzo, insaporite con cipolla e aglio, macerate nel vino bianco, cotte alla griglia e servite con cipolla cruda affettata: il nome è slavo, ma nel Carso sono preparate da sempre. E poi il frico, montasio fresco fritto nel burro, con eventuali integrazioni di patate, cipolle o mele cotte.
In una regione abbracciata dalle montagne, i piatti a base di selvaggina si ritagliano un significativo spazio gastronomico. La lepre alla boema è stufata a fuoco lento con aromi, la coscia di agnello in umido è sempre arricchita con aromi forti, e la polenta pastizzada, ammorbidita con latte e burro, è il complemento ideale di pollastrello e piccioni in umido, capriolo e castrato in salmì, salsiccia e cotechino bollito.
La polenta è proposta in altre mille varianti, tra le quali il bisma – polenta gialla con crauti e fagioli, condita con un soffritto di lardo e cipolla –, i toçj di Braide – ottenuti facendo fondere in una teglia un po’ di burro e aggiungendo mestolini di polenta tenerissima, sale, pepe e ricotta affumicata grattugiata – o ancora servita con montasio stagionato grattugiato e salsiccia cotta sbriciolata.
Il mare offre una materia prima estremamente variegata e i piatti più apprezzati sono le canocchie al sugo, le capesante gratinate, le seppioline alla granseola – piccole seppie farcite con polpa di granseola bollita e tuorli d’uovo –, il boreto alla graisana – il boreto è il rombo più ricercato – preparato con olio extra vergine, aglio, aceto e servito con una polenta molto morbida, le seppie e il brodetto alla gradese, con pesce cotto con olio extra vergine, aceto e aglio. Anche le acque dolci o miste danno pesci gustosi, per preparare per esempio la trota in zuppa, al cren e alle mandorle, il luccio arrosto con champignon, patate, pancetta e vino bianco, l’anguilla allo spiedo e il pesce in saor, cioè fritto e conservato in carpione con cipolle e uvetta.
La frittata, spesso, è un piatto trascurato, ma in Friuli-Venezia Giulia è proposta in numerose varianti a base di profumatissime erbe aromatiche.
Contorni davvero squisiti sono gli asparagi di Grado, Tavagnacco e S. Andrea, serviti con burro e pane grattugiato o con salsa all’uovo piccante, i fagioli alla smolz – borlotti bolliti e conditi con soffritto di burro, lardo e cipolla –, la verza ripiena con carne di maiale e manzo tritata, aglio e prezzemolo, le patate in tecia, con lardo, cipolle, brodo, prezzemolo e vino bianco. A base di rafano è la salsa di cren, con aggiunta di burro, pane grattugiato, mele e vino bianco, di origine austriaca e molto popolare a Trieste per accompagnare diversi piatti a base di carne.
Tra i formaggi spicca il montasio DOP, con diversi livelli di stagionatura, il formaggio del cit spalmabile, il saltarello e il dolce latteria di Fagagna, che può subire una stagionatura variabile da due a diciotto mesi. E poi la ricotta, spesso affumicata e ingrediente di numerose preparazioni, e il cremoso formaggio asìno – che non ha nulla a che vedere con l’omonimo animale –, che proviene da Vito d’Asio, maturato in speciali salamoie all’interno di tini vinari.
Cannella, frutta secca e candita sono ingredienti
molto frequenti nei dolci friulani.
Anche i dolci, spesso, risentono di un chiaro influsso mitteleuropeo, come le omelette con frutta e confettura e le frittelle di mele, pere, albicocche e pesche, ma sono pochi quelli di origine locale.
Le castagnole di Sacile – gnocchi di farina, zucchero, burro, uova e buccia di limone, fritti nello strutto e nell’olio extra vergine – e le frittelle di riso con uvetta e pinoli sono davvero deliziosi.
Molto particolare è la gubana, un dolce da forno a pasta lievitata spianata, farcita con mandorle, noci, uvetta, pinoli, cedro e arancia canditi e cioccolato, aromatizzata con Rum e cannella, arrotolata a chiocciola. E poi la pinza, un pane dolce arricchito di fichi secchi, noci e uvetta, le esse di Raveo e i chifeletti, frittelle a forma di mezzaluna ottenute da un impasto di patate, farina e zucchero, servite con cannella e zucchero a velo.
Tipico dolce pasquale triestino è il presnitz – pasta sfoglia ripiena – e altrettanto golosa è la putizza, simile alla gubana e nel Triestino detta pane indorato, preparata con fettine di pane raffermo, farina, latte, uova, zucchero e sale, e poi fritta. Un dolce molto particolare è lo strucolo goriziano, ottenuto con un impasto di patate, farina, burro, formaggio, olio extra vergine e un pizzico di sale, ripieno con una farcia a base di mele, noci, pinoli e uva passa, profumato con limone grattugiato e cannella, bollito arrotolato in un canovaccio, srotolato ancora bollente, affettato e servito con burro fuso e, a piacere, con zucchero e cannella.