Un po’ di storia
Antiche vigne a Gattinara.
Furono senz’altro i Greci i primi a portare vini di qualità in questa regione, scaricando le loro navi piene di anfore di vino nei porti liguri e penetrando nel territorio con barbatelle e talee, che costituirono i primi vigneti. Infatti, in piena Età romana la coltivazione della vite era fiorente, tanto che Plinio il Vecchio, nella sua enciclopedica Naturalis Historia, già delineava l’attuale area viticola, accennando anche alle prime botti in legno della storia enologica, usate appunto in quella zona circa Alpes, cioè nei pressi delle Alpi.
Con la caduta dell’Impero Romano e l’invasione di Goti e Borgognoni prima e Ungari e Saraceni più tardi, la viticoltura subì alcune devastazioni, ma riuscì a non scomparire, e lentamente continuò a espandersi prima e dopo l’anno 1000. Nel Codex Astensis è riferito che, in pieno Medio Evo, Asti è 'fornita di vino buono e ottimo'.
Intorno all’inizio del Millennio si registra l’esistenza del nebbiolo e in seguito Pietro de’ Crescenzi nel suo trattato di agricoltura loda gli ottimi metodi utilizzati in viticoltura dai contadini del Monferrato. In questo periodo fu infatti introdotto l’allevamento a spanna – vite maritata a palo secco e potatura corta – che nel Novarese diventerà sinonimo del nebbiolo coltivato con questo sistema.
Con il passare del tempo, documenti sempre più numerosi attestano la vitalità del settore viticolo, descrivendo nuovi vitigni, come pignole, labrusche e moscatelli, mentre i regolamenti comunali si occupano sempre più di vendemmie e di tutela dei vigneti.
Nel XVI secolo, altri documenti informano in modo dettagliato sulla viticoltura e sui vini piemontesi. Il bottigliere di Papa Paolo III, Sante Lancerio, ci fa sapere che ‘Voghera fa buon vino’, ‘Tortona fa unico vino’, ‘buoni vini sono ad Alessandria’, citando come luoghi di buona produzione Cassine, Acqui, Saluzzo, Cairo Montenotte e altri ancora. In questa epoca nascono i primi chiaretti di ispirazione francese, dando una svolta ai tradizionali metodi di vinificazione. Il successo dei vini piemontesi si estende sempre più, tanto che anche Luigi XIV di Francia, il Re Sole, aveva trovato eccellenti i vini e i formaggi di questa regione.
Intorno alla metà del XVIII secolo, i fermenti illuministici e il grande fervore che li accompagna animano un profondo processo di rinnovamento agricolo e vitivinicolo; la vite si insedia definitivamente sulle colline, e dai chiaretti e dai vini dolci si passa ai progenitori dei vini di oggi, il Barolo su tutti.
Nel 1843 il Conte di Cavour, produttore di vini oltre che grande politico, si dedica con passione ai primi studi ampelografici e trascorre il suo tempo libero nella vigna a potare, vendemmiare e individuare nuove varietà di uve. Purtroppo, su questa nuova fioritura si abbattono i flagelli dell’oidio, della peronospora e della fillossera, determinando decenni di profonda crisi che, di fatto, lasciano il loro segno quasi fino alla soglia della II Guerra Mondiale.
L’ambiente pedoclimatico
Torino, il Monte dei Cappuccini.
Il Piemonte è una delle grandi regioni vitivinicole italiane, con un’estensione che supera i 25.000 kmq, ma soprattutto per la qualità dei suoi vini.
Il Piemonte è incorniciato dalle Alpi Marittime, Cozie e una parte delle Graie, delle Pennine e delle Lepontine, oltre che da un vasto settore dell’Appennino ligure, che si allunga nelle colline delle Langhe e del Monferrato. Le Alpi piemontesi, che arrivano a superare i 4000 metri (Monte Rosa e Gran Paradiso), sono costituite in prevalenza da rocce cristalline, con forme aspre e incise da profonde valli, mentre manca la fascia prealpina calcarea di transizione tra pianura e montagna che caratterizza le Alpi lombarde e venete.
Le colline denominate di Torino e di Casale – con il Colle della Maddalena che sale fino a 716 metri –, sono una catena di corrugamenti costituiti da porfidi, graniti e gneiss, che continuano nelle colline del Monferrato e delle Langhe, costituite da formazioni rocciose più tenere, come marne, calcari marnosi, arenarie, gessi e conglomerati, che costituiscono terreni molto vocati per la viticoltura – su tutti quelli delle Langhe –, in colline che salgono anche oltre i 500 metri di altitudine. Il Piano Alto di Cuneo raggiunge i 400 metri ed è la parte più elevata di tutta la Pianura Padana.
L’apporto di materiali alluvionali ai piedi delle terrazze che costituiscono l’Alta pianura ha formato un bassopiano, nel quale si raccolgono le acque che lo rendono una zona ottimale per la coltivazione della vite, dei cereali e di altre piante erbacee.
Ai piedi del Monviso, il Re di Pietra, si trova la sorgente del Po.
I fiumi piemontesi sono a volte caratterizzati da un regime torrentizio, con magre estive e invernali e piene autunnali e primaverili, queste ultime dovute anche allo scioglimento delle nevi.
Dal punto di vista idrografico, il Piemonte corrisponde all’alto bacino del Po, il fiume italiano più lungo (652 km), nel quale confluiscono da sinistra le acque del Pellice, del Chisone, del Sangone, della Dora Riparia, dello Stura di Lanzo, dell’Orco, della Dora Baltea, del Sesia, dell’Agogna e del Ticino, e da destra quelle del Varaita, del Maira, del Tanaro – che attraversa le colline astigiane –, del Bormida e dello Scrivia. Il Toce, il cui bacino corrisponde alle zone dell’Ossola e del Cusio, scende nel Lago Maggiore, il più esteso del Piemonte. Altri laghi meno estesi sono il Lago d’Orta e quello di Mergozzo in provincia di Verbania, quelli di Candia e di Viverone nell’anfiteatro morenico di Ivrea.
Il clima presenta caratteri tipicamente continentali, con elevate escursioni termiche stagionali e giornaliere, inverni lunghi e freddi, estati calde e afose nelle zone pianeggianti, più fresche e ventilate in quelle collinari e montuose. Le precipitazioni raggiungono mediamente i 1000 mm/anno, con massime in autunno e primavera, con temporali estivi accompagnati da frequenti grandinate.
Le zone più piovose – anche oltre i 3000 mm/anno – sono le aree del Verbano occidentale e del Cusio, l’Alta Valsesia e il Biellese, oltre alle zone più elevate ed esposte ai venti umidi delle Alpi Cozie e Graie.
La formazione di nebbie è frequente, soprattutto in pianura nei mesi invernali, mentre la neve cade piuttosto regolarmente nelle zone più elevate di tutta la regione.
La gastronomia
La cucina piemontese è sicuramente influenzata da quella della confinante Francia, ma ha saputo conservare i suoi tratti più originali, disegnati dai profumi, dai sapori e dalle consistenze di riso e latte, burro e formaggi, aglio e tartufo bianco.
Ampiamente coltivato soprattutto nelle province di Vercelli e Novara, il riso è ancora la base di preparazioni in brodo e con verdure, di risotti e torte di riso, con il carnaroli, l’arborio e il vialone nano a recitare il ruolo di protagonisti nel risotto al Barolo o con gli asparagi, alla finanziera o alla fonduta. Oltre che nella novarese paniscia, un risotto con fagioli borlotti, vino rosso, lardo, salam d’la duja e cavolo verza.
Il tartufo bianco, un amico aristocratico della cucina piemontese.
Il principe della tavola piemontese è il tartufo bianco, soprattutto quello di Alba, ma diffuso anche nel Monferrato e nell’Astigiano, che dà il meglio di sé su un piatto di tajarin – 30 tuorli d’uovo per chilo di farina! – e burro fuso, un risotto alla piemontese, un paio di uova al tegamino, un piatto di fonduta a base di fontina o crostini al tartufo.
Porcini e ovoli, coloratissimi peperoni – il quadrato, il lungo e il corno di bue –, i cardi – il gobbo di Nizza Monferrato, lo spadone e il riccio di Asti –, gli asparagi di Santena e tanti prodotti dell’orto, sono altri elementi gustosi di numerosi piatti. Tra questi si possono ricordare invitanti antipasti come le insalate capricciosa e russa, le cipolle ripiene con uova e burro, l’insalata di ovoli, di pollo e di fagioli, i peperoni ripieni con riso e acciughe, i caponet – involtini di cavolo verza ripieni di carne, salame, mollica di pane, aglio, prezzemolo e parmigiano reggiano – e la lingua in salsa verde. E su tutti la bagna cauda, tradizionale salsa costituita da olio bollente con aglio e acciughe dissalate, servita nel classico fornellino, posto al centro del tavolo, in cui si intinge un mix di peperoni crudi e cotti, cardi gobbi di Nizza Monferrato, sedano, finocchi, cavolo verza, topinambur, cipolle arrostite e patate bollite. E i più raffinati sostituiscono la bagna cauda con una salsa tartufata, nella quale profumate scagliette di tartufo bianco prendono il posto dell’aglio. Stuzzicanti e saporiti sono anche i peperoni all’acciuga, cotti nel forno con aglio, olio, burro e acciughe, e gli involtini montanari, preparati con cavolo verza, fontina e burro.
Tra gli antipasti ci sono numerosi salumi, come il prosciutto crudo di Cuneo DOP, il filetto baciato di Ponzone, la mortadella di fegato di Orta, la mustardela delle valli valdesi, la salsiccia di Bra, la testa in cassetta, il violino di camoscio, i salami – come il tortonese Nobile del Giarolo –, il salam d’la duja PAT conservato nello strutto di maiale, il salame d’oca novarese, il salame d’asino e quello cotto, i gustosi cacciatorini DOP – spesso arricchiti con un po’ di Barolo, Barbaresco o Barbera d’Alba – e ancora il vitello tonnato, le uova alla Bela Rosin – uova sode tagliate a metà e ricoperte di maionese, lingua e prosciutto cotto –, la carne cruda tritata all’albese o affettata in carpaccio.
Oltre ai risotti, altri primi piatti piemontesi riescono a catturare l’attenzione e la… gola. I tajarin possono essere conditi con salvia e burro fuso, salsa di pomodoro o sugo di arrosto in bianco, mentre gli agnolotti del plin – nome che deriva dal gesto fatto per chiuderli –, sono ripieni di carne arrostita, spezie ed erbe aromatiche e serviti con sugo di arrosto o al tartufo, oppure ripieni di ricotta.
I cannelloni alla Barbaroux prendono il nome del loro inventore – già ambasciatore dei Savoia a Roma, poi ministro Guardasigilli di Carlo Alberto, per il quale redasse lo Statuto Albertino – e sono crêpe a base di latte, farina e uova cotte al forno, mentre gli gnocchi all’ossolana sono preparati con patate, farina di castagne, zucca, formaggio d’alpeggio e uova, resi più intriganti da un pizzico di pepe e noce moscata.
Le carni, sia bovine sia di selvaggina, sono il vero piatto forte della cucina piemontese.
Il brasato al Barolo – manzo marinato in vino e spezie e stufato lentamente nel vino omonimo –, il bollito misto alla piemontese, con carni lessate di manzo – famoso il bue grasso di Carrù –, vitello, gallina e lingua, servito con il bagnet verd – salsa verde ben agliata a base di prezzemolo –, o con il bagnet ross – a base di pomodoro e peperone –, sono tra i piatti più apprezzati. Altrettanto amati sono la trippa alla montanara, cucinata in brodo di carne con fagioli e cipolla, il polpettone alla moncalvese – una sottile fetta di vitello battuta, foderata di pancetta coppata con un trito di aglio e rosmarino –, la carbonata – polpa di vitellone, olio extra vergine, farina, burro, cipolla, vino rosso, aromi e spezie – e la lingua di vitello lessata e servita con diversi tipi di salse. Il batsoà – piedini di maiale lessati in acqua acidulata, disossati, impanati e fritti – è una vera ghiottoneria, così come il fritto misto di cervella, fegato, animelle, salsiccia, filetto di manzo, crocchette di pollo, funghi, amaretti e verdure di stagione. Un altro piatto ricco di ingredienti è la finanziera, con animelle, cervella, schienali lessati e fesa di vitello a cubetti, appena infarinati, fatti rosolare con funghi e cotti con brodo o con l’acqua di ammollo dei funghi: il tutto serve per farcire vol-au-vent, oppure è proposto in piccole quantità come antipasto caldo o con costolette di castrato.
A volte un po’ snobbato, il pollame non è trascurato dalla gastronomia piemontese, che propone il pollo alla babi, schiacciato e appiattito – babi, in piemontese, significa rospo –, cotto alla brace con salvia, rosmarino e alloro, il pollo alla Marengo, soffritto in olio extra vergine e burro con cipolla, sedano, carota e cotto con il brodo, la tacchinella al forno – tipico piatto natalizio – arricchita con tante erbe aromatiche.
Soprattutto in montagna e nelle nebbiose serate invernali, il camoscio stufato nel vino con tanti aromi, la lepre in civet, marinata nel vino e cotta in umido, la lepre ai funghi, la pernice al Barolo e i piccioni saltati alla monferrina, rosolati nel burro con cipolla, sedano e carota, sono piatti che si abbinano alla perfezione con i grandi vini rossi della regione.
Infine, due secondi piatti un po’ particolari: le lumache alla Barbera e il tapulone, uno spezzatino di carne d’asino o di cavallo con aromi, spezie, cavoli e vino rosso.
Alcuni tra i formaggi più noti, prodotti spesso con latte vaccino, ma anche ovino e caprino, sono la morbida robiola del beck, il raro bettelmatt – prodotto in alpeggi a 2150 metri nell’Alta Val Formazza – e il bruss, prodotto nell’Alto Astigiano, in Val Bormida, nelle Langhe e nelle Alpi Liguri, che nel tipo forte – a base di robiole stagionate – è lavorato con olio extra vergine, Grappa, peperoncino rosso e pepe in grani. Oltre a questi, ci sono alcuni formaggi DOP, come il prezioso castelmagno – così difficile da trovare erborinato –, il grana padano e l’eccezionale gorgonzola, il raschera anche d’alpeggio, il bra, il murazzano, il taleggio, la robiola di Roccaverano e la toma piemontese.
I marron glacé, una delle numerose leccornie piemontesi.
La nocciola del Piemonte IGP – cultivar tonda gentile delle Langhe – è deliziosa sgranocchiata a fine pasto, ma è anche un ingrediente fondamentale di numerosi dolci e biscotti, come i baci di dama di Tortona – con nocciole e mandorle tritate, farina, burro e vaniglia – glassati con cioccolato fondente, la torta di nocciole e la torta di pane e latte della Val d’Ossola, arricchita con latte, vaniglia, cacao, uvetta sultanina e rosmarino.
Deliziose sono anche le pesche ripiene, farcite con un po’ di polpa, amaretti sbriciolati e cacao e cotte al forno, le pere martin sec al Barolo, le mele al Freisa amabile e il melone all’Asti Spumante. E ancora più golosi sono i marron glacé e i cuneesi al Rum – con meringa ricoperta di cioccolato fuso e una farcia di nocciole, cacao e Rum –, il bunet – uno splendido budino al cioccolato con latte, uova e vaniglia –, i torroni e i crumiri di Casale Monferrato.
Cioccolatini e praline, scorzette di arancia candite e glassate al cioccolato e tartufi – palline con l’impasto dei cuneesi, rotolate nel cacao in polvere – sono davvero irresistibili. Così come il tradizionale zabaione con tuorli d’uovo sbattuti con Moscato d’Asti e zucchero, cotto a bagnomaria e servito in coppa – bicchiere ormai quasi dimenticato ma di indiscusso fascino –, accompagnato con le tradizionali paste di meliga.