Un po’ di storia
L’Etna innevato visto da Castelmola.
La vitivinicoltura era presente in Sicilia già nel II millennio a.C., prima dell’arrivo dei coloni greci, i quali ebbero però il merito di avere introdotto migliori qualità di vitigni e tecniche colturali. Gli studiosi di quei tempi elogiavano la qualità e la quantità dei vini siciliani: i più famosi erano il Mamertino, il Tauromenio, l’Inicynio, oltre a quelli dell’Etna, e il vino costituiva la spina dorsale dell’economia di ogni centro siculo.
Tra il III e il II secolo a.C. la conquista romana causò la scomparsa di questa situazione di benessere, perché trasformò i vigneti in campi di grano, necessario per la politica di espansione della Repubblica: la Sicilia divenne così il granaio di Roma. Ma il vino continuò a essere prodotto e Giulio Cesare poté continuare a gustare il suo prediletto Mamertino, Plinio il Vecchio quello di Taormina e i buongustai romani il Pollio, il Tauromenio, l’Haluntium, il Potulanum e tanti altri.
Con la caduta dell’Impero Romano, l’isola fu teatro di una lunga serie di invasioni e di guerre: prima i Vandali, poi le lotte tra Goti e Bizantini. Successivamente, gli Arabi la occuparono per alcuni secoli e fecero rinascere l’agricoltura sicula, rinnovando le tecniche agricole, introducendo nuove colture – principalmente riso e zucchero – e coltivando la vite solo per produrre uva passa per le loro mense.
Alla dominazione araba, che lasciò profondi segni positivi, seguirono le conquiste normanne e quindi aragonesi, che non lasciarono grandi tracce in questo campo.
La situazione a favore della vite si evolve nel XV secolo, quando l’antico Mamertino fa di nuovo capolino e dai porti siciliani salpano navi cariche dei vini di Siracusa, dell’Etna, di Palermo e di Trapani per Roma, la Liguria e la Toscana. Sante Lancerio ne tratteggia bene le caratteristiche, confermate anche da Andrea Bacci, e testimonia l’avvenuta ricostruzione del vigneto siciliano, che inizia a dare i vini leggeri delle pendici dell’Etna, quelli più ricchi di alcol etilico del Trapanese e del Palermitano, quelli coloratissimi di Milazzo, quelli rossi e vivaci del Siracusano, quelli profondi del Ragusano e i generosi aromatici delle Eolie e di Pantelleria. E quel vino straordinario, il Marsala, che ha reso famosa la Sicilia nel mondo. La sua produzione è legata, nel XVIII secolo, a John Woodhouse, che fortifica e spedisce in Inghilterra l’ambrato vino del Marsalese, aprendo una pagina molto bella per il vino siciliano, e a Benjamin Ingham, che ne perfezionò la tecnica di lavorazione.
A partire dal 1870 e nei decenni successivi, in seguito alla distruzione dei vigneti francesi per l’arrivo della fillossera e della peronospora, i robusti vini siciliani costituirono un’importante fonte di importazione per gli industriali di quel paese, consentendo loro di mantenere i mercati di tutta Europa. Ma il temibile insetto, alla fine, fece la sua comparsa anche in Sicilia, provocando i ben noti disastri. Con la ripresa, le nuove tecniche di coltivazione — come l’alberello — e la possibilità di irrigazione porteranno radicali cambiamenti nel patrimonio vitivinicolo dell’isola.
L’ambiente pedoclimatico
A Salina, nelle Isole Eolie, si produce
la splendida Malvasia delle Lipari.
La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo, occupa una superficie di oltre 25.700 kmq, presenta un territorio prevalentemente collinare e in parte montuoso, e comprende gli arcipelaghi delle Eolie, delle Egadi e delle Pelagie, oltre a Pantelleria e Ustica.
I rilievi più elevati si trovano nel settore nord-orientale, con il massiccio vulcanico dell’Etna (3340 m) e con l’Appennino siculo che si estende fino alla Valle del Torto, e costituisce la continuazione dell’Appennino calabro, oltre la profonda depressione dello stretto di Messina.
L’Appennino siculo, disposto a ridosso della costa, è diviso in tre gruppi montuosi.
I Peloritani occupano la cuspide dell’isola rivolta verso il continente; sono formati da gneiss e filladi e sono in stretto rapporto con gli antistanti rilievi calabresi costituiti da rocce scisto-quarzose finemente granulate. I Nebrodi sono di origine arenario-argillosa, mentre le Madonie sono costituite sempre da rocce erodibili, con estesi banchi calcarei, e per tale ragione si presentano con forme più morbide e arrotondate.
La cuspide sudorientale dell’isola è interessata dai Monti Iblei (Monte Lauro 1010 m), un insieme di alte terre formate da antichi spargimenti lavici e da tufi calcarei fortemente erosi dai corsi d’acqua.
La parte centrale dell’isola è un succedersi irregolare di ondulazioni collinari separate da larghe vallate: sono i Monti Erei, la Valle del Salso e del cosiddetto altopiano solfifero, una distesa di modesti rilievi, costituiti da formazioni argillose e gessoso-solfifere.
La Sicilia occidentale si presenta con dossi arrotondati e altopiani estesi e ondulati, nei quali predominano argille e arenarie. Le antistanti Isole Egadi ripetono queste strutture geologiche e morfologiche, mentre Ustica, le Eolie e Pantelleria sono prevalentemente vulcaniche.
Le pianure sono limitate a brevi tratti lungo i litorali; l’unica di una certa importanza è la piana di Catania, di origine alluvionale, ricca di potassio e molto fertile.
Il territorio siciliano è povero di corsi d’acqua e di laghi, e i torrenti e le fiumare presenti sono di scarsa portata. I principali fiumi sono il Simeto, l’Alcantara, l’Anapo, il Cassibile e il Tellaro, tutti sul versante ionico; tributari del Mare Tirreno sono il Torto e il San Leonardo. I corsi d’acqua sono caratterizzati da piene improvvise nei periodi invernali e da lunghi periodi di magra nelle estati. C’è un solo piccolo lago, il Pergusa, in provincia di Enna.
La Sicilia è dominata da un clima mediterraneo, caldo e arido sulla fascia costiera, temperato e umido nella parte centrale e sui rilievi. L’influenza dei mari crea condizioni climatiche diversificate che determinano una continua ventilazione locale. I grandi venti, invece, spirano prevalentemente da scirocco e da ponente, con importanti effetti siccitosi, accentuati dalle elevate temperature estive; lo scirocco, soprattutto, può danneggiare gravemente i vigneti. Le precipitazioni sono concentrate nei mesi invernali e sono copiose soltanto nelle zone più elevate dell’Etna, dell’Appennino siculo e dei Monti Iblei, mentre altrove scarseggiano, soprattutto nelle piane di Catania e di Gela, dove scendono sotto i 600 mm/anno.
La gastronomia
La più grande isola del Mediterraneo e la regione più estesa d’Italia ha visto le dominazioni di tanti popoli, assorbendone usi e tradizioni. Greci, Romani, Arabi, Bizantini, Normanni, Svevi, Angioini e Spagnoli hanno arricchito le tradizioni gastronomiche locali, contribuendo a delineare l’attuale fisionomia della cucina siciliana, ricca, solare e fantasiosa, ma altrettanto realistica. L’incidenza dell’agricoltura sull’economia isolana è forte, con una grande produzione di grano duro, tanto che sembra che i maccheroni siano stati inventati dai siciliani intorno al XII secolo. Oltre che dalla coltivazione degli ortaggi, l’isola è dominata da profumati agrumeti e da uliveti che forniscono la materia prima per pregiati oli extra vergine di oliva DOP, come Monti Iblei, Valli Trapanesi, Val di Mazara, Monte Etna, Valdemone e Valle del Belice.
Una gastronomia così ricca come quella siciliana non può che presentare un’ampia proposta di antipasti, tra i quali i famosi arancini – palle o coni di riso al sugo ripieni di carne trita con pomodoro e piselli, poi impanati e fritti –, le famose olive DOP Nocellara del Belice, le olive verdi farcite con un trito di prezzemolo, capperi e pane grattugiato, le olive schiacciate – poste in salamoia e poi snocciolate e condite con olio extra vergine e aglio –, i pomodori ripieni con olive, scampi e bottarga siciliana, ossia uova di tonno salate, essiccate al sole in un involucro e poi tagliate finemente. Saporite e gustose sono la caponata di carciofi di Menfi, quella con la salsa – dadolata di melanzane con sedano e salsa di pomodoro – e quella di verdure, che si ottiene con indivia, cavolfiore, spinaci e sedano cotti separatamente e poi soffritti, mescolati e spruzzati di aceto.
Le melanzane, ortaggi mediterranei che insaporiscono
molti piatti siciliani.
Infinita è la varietà dei primi piatti, tra i quali i più tipici sono la pasta alla Norma – condita con un sugo a base di ricotta stagionata, pomodori maturi e melanzane fritte, così chiamata in omaggio al compositore catanese Vincenzo Bellini –, e la pasta cu la muddica, con pomodori, acciughe, prezzemolo e cosparsa di mollica tostata. Gustosi sono i maccaruni di casa – conditi con sugo di pomodoro e polpettine di carne –, gli spaghetti alla siracusana – con olive nere snocciolate e filetti di acciughe –, la minestra o la pasta con i cavolfiori – con peperoncini verdi piccanti, acciughe dissalate, cipolle, aglio, cavolfiore, pinoli e uvetta –, i crispeddi – sfogliatine di pasta con ripieno di ricotta fresca e pasta di acciughe –, la pasta con salsa picchi-pacchiu, con peperoncini piccanti, pomodori freschi, basilico e aglio. La ‘ncasciata è un tipico timballo di maccheroni della zona di Enna, conditi con ragù, polpette, uova sode, salame, caciocavallo, melanzane fritte e piselli, e altrettanto interessanti sono la pasta c’anciova, la ‘cchi masculini, la pasta con il riquagghiu – simile alla carbonara laziale –, la sciusceddu, una minestra con un impasto di uova, pane grattugiato, formaggio, prezzemolo e aglio.
Dal mare arriva la materia prima per la pasta con le sarde, tipica del Palermitano – condita con olio extra vergine, acciughe, sardine, pinoli, uvetta e finocchio selvatico –, per il timballo di riso con gamberi fritti e frutti di mare, e per i maccheroncini liparesi, conditi con un sugo di avanzi di pesce cotto, rosolati e bagnati con Marsala Secco, con aggiunta di salsa di pomodoro e, alla fine, di una salsa a base di acciughe dissalate, aglio e olio extra vergine. E poi la 'mpanata – una torta salata con molte varianti, il pasticcio di maccheroni e melanzane con caciocavallo e parmigiano reggiano –, e il timballo del Gattopardo, a base di pasta frolla con maccheroni, piselli freschi, cipolla e carciofi.
Meno diffusi sono i risotti, tra i quali si può ricordare il ripiddu nivicatu, risotto con nero di seppia, ricotta salata e salsa di pomodoro, tipico del Catanese e modellato a forma di vulcano imbiancato.
Il notissimo cous-cous di origine araba, diffuso nella parte occidentale dell’isola, non è l’unico esempio dell’influenza di quella cucina, come confermano i maccheroni caserecci della provincia di Enna, conditi con ragù di carne, melanzane e formaggi, insaporiti con zucchero e cannella.
Tra i secondi piatti a base di carne non c’è che l’imbarazzo della scelta. La costoletta alla siciliana è costituita da fette di carne di vitello spianate, appena marinate nell’aceto e poi ricoperte da un misto di formaggi, la costoletta alla palermitana è cotta con strutto, origano, pane grattugiato, sale e pepe, gli involtini di carne sono preparati con provolone fresco, uvetta, pinoli e pane grattugiato, i sasizzeddi sono involtini di vitello farciti con uova, salame, cipolle e formaggio, la trippa all’olivitana è cucinata nel coccio con uova sode, formaggio e melanzane fritte. Altre preparazioni molto saporite sono il capretto in spezzatino, alla griglia o in fricassea, il grassatu – spezzatino di agnello o capretto con patate –, il coniglio in umido, con le olive, arrosto, alla cacciatora, la salsiccia fritta al vino, il pollo ai peperoni alla siciliana, con mandorle, uvetta sultanina, un po’ di cacao dolce, cannella e noce moscata. Un’altra tipica preparazione siciliana è il falsomagro, un tipo di polpettone ripieno di carne di maiale tritata, salsiccia, uova sode, fette di pancetta, scaglie di pecorino, aglio, sale e pepe, legato con lo spago e cotto in casseruola con olio extra vergine e cipolla affettata, spruzzando con vino rosso e portando lentamente a cottura con brodo.
Oltre al famosissimo tonno alla siciliana – con acciughe, erbe aromatiche, spezie e vino bianco –, si possono gustare le sarde a beccaficu – sardine impanate e cotte in tegame con olio extra vergine, acciughe, uvetta, pinoli, alloro, prezzemolo e basilico –, le costolette di sarde, il nasello alla palermitana, cotto al forno con olio extra vergine, acciughe sotto sale, rosmarino, pane grattugiato e pepe. Piatti molto caratteristici sono il piscistocco alla messinese – stoccafisso cotto con olive nere, capperi, pomodoro e cipolla –, il pesce spada con salmoriglio – una salsa di origine spagnola a base di olio extra vergine, limone, prezzemolo e origano –, le braciole di pesce spada farcite di formaggio, verdure grigliate e pane, i calamari ripieni con olive, capperi, acciughe dissalate, aglio, prezzemolo e peperoncino. Il pesce spada torna nella stimpirata di Siracusa – tranci fritti e poi passati in casseruola con una salsa di capperi – e nel museddu di Trapani, un filetto di tonno salato ed essiccato, da affettare nelle insalate.
Lo zafferano colora e offre la sua speziatura
ad alcuni formaggi siciliani.
I formaggi DOP sono il pecorino siciliano, sapido, piccante e con grani di pepe nero, e il ragusano – detto caciocavallo siciliano – a pasta filata con la curiosa forma di parallelepipedo lungo quasi mezzo metro, prodotto con latte vaccino di razza modicana e servito localmente con origano e una spruzzata di aceto, aglio e olio extra vergine, rosolandolo nel coccio.
Gustose sono anche la ricotta fresca di pecora e la tuma siciliana – cagliata appena indurita di latte di pecora, non salata e da consumare fresca –, la vastedda della Valle del Belice, l’unico prodotto a pasta filata ottenuto da latte ovino intero, seguite dal caciocavallo all’argintera, formaggio fresco affettato, fritto in padella con olio extra vergine e origano. Il formaggio giallo, a pasta dura, ottenuto da latte di pecora aromatizzato con zafferano, è tipico della zona di Enna, dove è prodotto anche il piacentinu, un formaggio arricchito con pepe o ancora con zafferano. Infine il maiorchino, il cui sapore dipende dalle diverse percentuali di latte di pecora e di capra, è prodotto nel Messinese ed è da consumare fino ai tre mesi per apprezzarne l’aroma di latte, oppure dopo otto mesi di stagionatura per un impatto più incisivo e piccante.
Spesso curiosi e quasi esotici sono i contorni, come le melanzane alla parmigiana, in caponata e ripiene, i broccoli affogati – stufati con olio extra vergine e caciocavallo –, il cavolfiore al forno con caciocavallo fondente, i pomodori ripieni di riso, la peperonata in umido con cipolle, pomodori e olive verdi, l’insalata di arance, fatta con arance sbucciate, affettate finemente e condite con olio extra vergine, sale e pepe. E su tutti il profumo e l’aroma dei pomodori di Pachino IGP o di altri meno famosi, i rossissimi seccagni delle Basse Madonìe, ottimi crudi e deliziosi per la produzione di salse, marmellate e prodotti sott’olio, meravigliosi con pecorini locali e altri formaggi stagionati. E in estate, i capperi di Pantelleria IGP e quelli di Salina decorano queste splendide isole con fiori di colore bianco-violetto, che celano questi piccoli tesori aromatici.
Vanto dell’isola forse più di qualunque altra preparazione culinaria, sono l’uva da tavola di Canicattì, di Mazzarrone e le splendide arance rosse di Sicilia, tutti frutti IGP, i cedri, le mandorle di Avola e di Noto e i pistacchi verdi di Bronte DOP. I fichi d’India dell’Etna DOP sono giunti in quest’isola del sole dal Messico e hanno trovato un ambiente ideale per le loro diverse varianti, da quelli più consueti a polpa gialla a quelli sanguigni, a polpa rossa e quasi violacea. Questi frutti sono consumati freschi oppure impiegati come base di gelati, sorbetti e della mustada, una tipica confettura messa in formelle, seccata a lungo sotto il sole fino a caramellare, che poi diventa uno sciroppo densissimo impiegato in molte preparazioni.
I fruttini di Martorana, golosità della pasticceria siciliana.
I dolci siciliani sono famosi in tutto il mondo, come i dolcetti di Riposto e l’agnello pasquale, di pasta reale farcita con confettura di cedro, le conchiglie di pasta reale, i tradizionali dolci di sambuca minni di virgini e i fruttini di Martorana, a base di pasta di mandorle e decorati come facevano le suore del convento della Martorana.
Dolcissima è la pignolata messinese, tipico dolce natalizio, e altrettanto invitanti sono la cubbaita – torrone morbido di origine araba a base di miele, mandorle e semi di sesamo –, altri torroni assortiti, la cioccolata di Modica e la crema di mandorle di Noto. Anche la cassata è un dolce di origine araba, la cui ricetta è stata conservata nelle cucine dei conventi, come accaduto per molti dolci siciliani, ed è composta da strati di pan di Spagna alternati a un impasto di ricotta fresca montata, liquore dolce o Rum, zucchero, pistacchi, cioccolato fondente e frutta candita mista, il tutto glassato sontuosamente e decorato con grande maestria con canditi di tutti i tipi.
Altre delizie sono i cannoli siciliani, un tempo preparati solo per Carnevale, ottenuti da una pasta di farina e zucchero, avvolta sugli appositi cannelli di metallo, fritti in abbondante olio extra vergine e successivamente farciti con ricotta, frutta candita e pezzetti di cioccolato. Da morirne, per un goloso! Goloso che non potrà non apprezzare, in estate come in qualunque altra stagione, i deliziosi gelati e le granite al limone, alla pesca e al sapore di tanti altri meravigliosi frutti, dolci e profumati come il melone e l’anguria. Ma soprattutto quella al caffè, servita con panna montata e gustata… anche a colazione. Una vera delizia, per rinfrescarsi nelle calde mattine estive, su una terrazza sul mare colorata da cascate di bouganvillee.